Cercherò di definire con me stesso questa idea mentre scrivo di fronte a una continua ripetizione di sé stessi o di un ritorno al ricordo o a sensazioni passate che comunque nessuno ci può togliere si può fare anche qualcosa di diverso anche tenendo conto di tutto questo esibizionismo ea cui anche io partecipo dunque cosa ci può essere di possibile qualcosa che sia semplice ma più profondo qualcosa che sia più avvicinabile per sé e per gli altri mi si sta precisando una immagine quatto elementi per una nuova idea di comunicazione digitale 1) titolo del post 2) parte video 3) la voce la voce è la voce ed è immediatamente presenza umana vicina senza alcuna mediazione senza avere bisogno associarla ad un nome senza sapere chi cosa come 4) un testo che viene letto oppure parole improvvisate al momento oppure i rumori di fondo in presa diretta
l’idea è la presenza comunicativa senza mediazione l’idea è quella di togliere tutto in modo che i quattro elementi siano “senza riferimento” e possano combinarsi e ricombinarsi per cui la voce non ha un nome ma se proprio uno ci tiene può dire: “ciao sono Giovanni, Mario, Ada…” ma parola d’ordine è togliere tutte le mediazioni
5) : il titolo ha le caratteristica di essere spiazzante 6) : la parte video va girata con il telefonino se uno ce lo ha chi vuole farà video con la macchina fotografica 7) cosa girare con il telefonino? Una ripresa continua di quello che si vuole della durata della parte audio comunque minore di 15 minuti per in noto limite Youtube 8) di cosa? Si piazza il telefonino da qualche parte che ci ispira e start secondo il proprio sentire creativo 9) si può anche registrare dal voce dal telefonino perché non fare audio e video assieme è più pratico si può improvvisare creativamente
10) cosa si dice cosa si legge? subito diretti al testo senza fronzoli introduttivi questo dà più forza al contenuto
11) la condivisione con chi si vuole usando Wetransfer comodissima utility gratuita Poi alla fine la cosa si mette prima in Youtube da Youtube la cosa è libera e a chi interessa se la può importare
12) fare molta attenzione alle musichette niente musichette Youtube Individua subito i copyright e blocca i video che vengono caricati per cui solo rumori di fondo e/o voce umana
13 la video ripresa deve essere assolutamente proprietaria per lo stesso motivo questa è la mia idea è il mio contributo ed è quello che ho intenzione di seguire per me mentre naturalmente faccio anche le altre cose mentre anche tu fai le altre tue cose naturalmente visto che tutto questo punta alla condivisione è mio personale interesse a ricevere segnalazione di canali espressivo creativi di altri
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L’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat (in francese: L’Arrivée d’un train en gare de La Ciotat o L’Arrivée d’un train à La Ciotat) è uno dei più famosi cortometraggi dei fratelli Auguste e Louis Lumière.
Pubblicato a cavallo tra il 1931 e il 1932 a Zurigo, I Sonnambuli (Die Schlafwandler) di Hermann Broch (1886 – 1951) è tra i più importanti romanzi del Novecento. Come lo definì Aldous Huxley alla sua uscita: “l’opera di un filosofo che è anche un artista di rara densità e purezza”, in questa trilogia Broch partendo dal 1888 per arrivare al 1918 con la fina della Grande Guerra, analizzerà il totale stravolgimento dell’impero prussiano, e con esso di tutta l’Europa, ormai colpito da una disgregazione di valori irreversibile e senza precedenti. Una crisi post nietzschiana che condurrà l’Occidente sull’orlo della catastrofe assoluta con i conflitti più terribili mai compiuti dal genere umano e che in realtà nei decenni successivi del dopoguerra non ha mai smesso di incrementarsi. I Sonnambuli per Broch sono il prodotto di quegli uomini-niente di cui parlerà anche T.S. Eliot, gli uomini marionetta di Kafka, gli uomini senza qualità di Musil, destinati a dominare il mondo. Da i Sonnanbuli probabilmente Roberto Bazlen trarrà quella sua frase secondo cui “un tempo si nasceva vivi per poi morire, mentre oggi nasciamo già morti e solo alcuni a poco a poco possono provare a vivere”.
di Luca Crescenzi
Il nichilismo, scriveva Nietzsche, non è altro che il metodo della decadenza, è cioè il processo di disgregazione dei valori che si impone quando lo sfaldamento degli istinti vitali ha smesso di essere solo una condizione dell’esistenza individuale ed è diventato il dato dominante di un’epoca della storia. Di fronte all’esaurirsi di tutto ciò che rappresenta un valore per la vita, restano soltanto possibilità di esistenza residuali declinate in chiave fatalistica o eroica: la prima possibilità qualifica la figura del nichilista attivo, che favorisce e accelera l’esaurimento dei valori dimostrandone l’inutile vuotezza.
La seconda distingue invece il nichilista passivo, colui che pur consapevole dell’impossibilità di scorgere anche solo in uno di quei valori l’espressione compiuta di una volontà di affermazione dell’istinto vitale, si arrocca disperatamente fra i bastioni della tradizione e resiste all’evidenza del nulla incombente simulando una solida fiducia in ciò che già da tempo conduce un’esistenza di simulacro o di fantasma.
Trenta incalcolabili anni
La prima grande rappresentazione narrativa di questa condizione dell’individuo moderno, posto davanti all’alternativa fra l’entusiastica bramosia del vuoto e la tragica resistenza all’inevitabile affermarsi di quel vuoto medesimo, si trova nei Buddenbrook di Thomas Mann e si dipana attraverso la storia della contrapposizione fra Christian e Thomas Buddenbrook, fra il nevrotico dissacratore di ogni eredità del passato e il tragico difensore di una tradizione familiare che pure, meglio di chiunque altro, sa indifendibile.
Nella trilogia dei Sonnambuli scritta fra il 1930 e il 1932, del cui primo volume, 1888 – Pasenow o il romanticismo, Adelphi pubblica ora una nuova, eccellente traduzione di Ada Vigliani (con un saggio di Milan Kundera, pp. 230, € 20,00) Broch ha dato la versione forse più profonda di questa condizione umana nell’età del nichilismo. I protagonisti delle tre parti di cui si compone l’opera intera, Pasenow, Esch e Huguenau, sono i prodotti di questa interminabile età dell’impotenza: un’età che racchiude trent’anni anni (dal 1888 al 1918) ma sta per un’unità di tempo incalcolabile e indefinita, che potrebbe non avere inizio né fine, poiché nulla può intervenire a mutarne le leggi. Anche questa, peraltro, è un’idea che Broch riprende da Nietzsche: il nichilismo, corrodendo qualsiasi valore, aggredisce ogni tentativo di costituire un argine alla decadenza, rendendo vano qualsiasi atto di pura e semplice volontà positiva.
Non è del resto un caso che l’anno in cui ha inizio la storia narrata dal romanzo coincida con l’ultimo della vita cosciente dello stesso Nietzsche: è una data simbolica che sembra indicare il momento a partire dal quale la diagnosi di ciò che la trilogia descrive è diventata possibile.
Pasenow, il protagonista del primo romanzo, vive infatti già pienamente la condizione di irresolutezza e impotenza che caratterizza l’uomo decadente, privo di una qualsiasi certezza costitutiva. Il senso dell’onore ha ucciso il fratello, la famiglia lo ripudia tacitamente senza arrivare a farlo in modo esplicito, l’eros si è ridotto a una faccenda equivoca o di convenienza e la sua stessa carriera militare è una tradizione stancamente portata avanti.
Il «romanticismo» a cui allude il titolo del romanzo è diventato una maschera ideologica dei vicoli ciechi di cui si compone l’insuperabile labirinto della decadenza e il sentimento è l’inadeguato strumento per mezzo del quale Pasenow cerca di orientarsi nella vita, finendo per imbrigliarsi in situazioni che non hanno vere vie d’uscita. È innamorato di Ruzena, un’aspirante attrice di varietà che si barcamena nel mondo dei locali notturni, ma esita a respingere la volontà familiare che lo vuole sposo della più «adeguata» Elisabeth, non meno vaga e insicura di lui. Nell’incertezza è fatalmente attratto dal razionalismo semplificatore dell’amico Bertrand di cui riesce a distinguere il mefistofelico cinismo, senza tuttavia avere i mezzi per sbarazzarsene: nella confusione anche una bussola fasulla è meglio di niente.
Il vecchio Pasenow sarebbe un padre perfettamente kafkiano se la morte in duello del figlio maggiore non lo avesse piegato, ragion per cui la tirannia che esercita sulla famiglia e soprattutto sul figlio assume un tratto patetico e senile che segna il suo destino. Questo scenario narrativo è il paesaggio epocale delineato dal romanzo, e non per nulla Pasenow ha, a un certo punto, l’intuizione che proprio il paesaggio trapassi nelle persone diventandone l’essenza più autentica.
In poco più di 200 pagine, Broch ha costruito un perfetto romanzo dostoevskijano in cui, però, non ci sono più verità trascendenti che possano rivelarsi all’improvviso con effetto salvifico. L’unico trionfatore in scena, alla fine, è Bertrand – la descrizione del cui destino è rimandata al secondo romanzo – ma solo perché è disposto a mutare continuamente i suoi obiettivi e i suoi desideri, assecondando con gli esercizi logici del proprio disincanto intellettuale la casualità degli eventi e la volubilità dei sentimenti altrui. Anche il suo razionalismo, d’altra parte, è una maschera non meno usurata delle vuote tradizioni abbracciate senza entusiasmo dagli altri personaggi del romanzo.
Esploratore del razioide
Come scrive Milan Kundera con la consueta, straordinaria lucidità nelle «note di lettura» in coda al volume, Broch non è certo un fanatico della razionalità, condividendo in questo una vocazione originaria della narrativa del modernismo europeo. I suoi romanzi, piuttosto – proprio come quelli dei suoi grandi modelli, da Joyce a Thomas Mann, da Musil a Kafka – cercano di illuminare l’aleatorio elemento casuale, contingente o occasionale che spinge gli eventi in una direzione anziché in un’altra, lasciando a colui che ne è l’apparente motore il dubbio sul perché delle sue decisioni e delle sue scelte.
Broch è, insomma, un esploratore – forse il più profondo che la letteratura di lingua tedesca abbia generato – di quella sfera che Musil chiamava «il razioide»: l’elemento non ancora razionale e non del tutto razionalizzabile, l’impulso, l’istinto o il moto sentimentale che accompagnano e disorientano il calcolo della ragione e lo mettono fuori gioco decidendo il corso delle cose.
Impareggiabile nell’osservare e analizzare le associazioni inattese, le pulsioni incongrue, i sogni, le suggestioni che finiscono per decidere le azioni e i destini degli uomini, Broch sa che la comprensione della storia e del mondo dipende dalla capacità di saper descrivere e analizzare nei suoi elementi costitutivi questa sfera opaca e ambivalente.
Valori in ombra
Nella loro apparente ordinarietà, i suoi personaggi sono figure fatali che prendono decisioni apparentemente inspiegabili, ma collegate da mille fili sottili a grandi tendenze intellettuali e politiche della storia: il romanticismo, l’anarchia, il realismo. È difficile per chi abbia un’idea precostituita di queste realtà riconoscerne i contorni nelle storie dei tre sonnambuli Pasenow, Esch e Huguenau. Ma la scommessa di Broch è quella di mostrare attraverso i suoi personaggi che i nuovi universali, i valori generati dall’età della decadenza e destinati a muovere le masse del futuro prendendo forma di ideologia o di movimento di pensiero, si annidano nell’ombra, nella sfera demoniaca di quella quasi razionalità che sospinge ciecamente gli individui e può diventare in qualsiasi momento il luogo d’origine di impulsi, passioni e deliri collettivi.
Quanto mai attuale, anche se scritto nel 1956. “Per soffocare in anticipo ogni rivolta non bisogna essere violenti. I metodi del genere di Hitler sono superati. Basta creare un condizionamento collettivo così potente che l’idea stessa di rivolta non verrà nemmeno più alla mente degli uomini. L’ ideale sarebbe quello di formattare gli individui fin […]
Mon intérieur fait grise mine, il s’agit de relooker mon home, sweet home. En fait, je n’ai pas vraiment l’intention de m’attaquer à mon cadre de vie, qui me convient bien, merci… Mes fantasmes et mes fantaisies, je puis tout à fait les gérer via la peinture. Il me suffit de rassembler quatre tableaux sur […]
Il 6 maggio scorso, per la prima volta nella mia vita, il mio io più profondo si è ritrovato catapultato, nero su bianco, su un blog. È stato facile? No. Nemmeno per un secondo. Ma ne è valsa la pena. Per questo sono qui, di nuovo. Io conosco due mostri: Ma e Divano Bianco. Mi accompagnano […]
”-. Si Dagobaz n’avait pu voir l’eau, il avait dû la sentir, or lui aussi était très fatigué et assoiffé. Le poney de Bukta, habitué à la montagne et qui, ce jour-là, n’avait manqué ni d’eau ni de repos, descendit agilement la pente abrupte. Mais, à cause de sa soif, Dagobaz voulut aller trop vite […]
Stamattina, dopo l’alba, è arrivato l’abbraccio della poesia. Alle 7 e 30, ho sentito suonare alla porta di casa. Il corriere mi ha consegnato un libro di poesie che attendevo, Indiscrezioni dal fortilizio di Sergio Carlacchiani. Sergio è un importante performer, attore, doppiatore, poeta e pittore, nato a Macerata. Direttore artistico di varie rassegne teatrali, […]
“Le entrate erano al limite. I prezzi in caduta libera. Eravamo sul punto di svegliarci da un decennio di sogni perfetti.”
Pubblicato nel 2006, questo romanzo d’esordio di Joshua Ferris contiene una grande elusione, ovvero un omissis che riverbera sulla vicenda e in un certo senso la sostanzia. Mai però come il forte senso di preveggenza che coglie il lettore di oggi (tipo, ad esempio, me).
Ferris sceglie volontariamente di tacere l’undici settembre, interrompendo la narrazione quando agli attentati mancano poche settimane, per riprenderla qualche anno più tardi: probabilmente tutto ciò ha lo scopo di sottrarsi alla retorica dominante e puntare il dito su una crisi già abbondantemente in corso prima del settembre 2001, crisi economica e finanziaria che produceva contraccolpi pesanti sul tessuto sociale, sulla percezione di sé come cittadini e individui, sulla consistenza dei rapporti interpersonali e delle proprie prospettive.
Siamo smarriti tra la ragione e la pazzia, tra il tutto e il nulla, cercando piccole gocce di verità e acchiappandole al volo. Poi tutto finisce, impariamo a stare al mondo ed è già ora di andarsene. Avvolti nella coperta del tempo, lasciamo che tutto scorra, sorridiamo ed è il sorriso di chi ha perso. Dove abbiamo lasciato l’istinto, il bisogno, la voglia di libertà? In quale universo si è nascosto il bambino che gridava e danzava sotto la pioggia? Ieri brancolavamo nel buio cercando la luce. Oggi il buio è lo stesso, ma i nostri occhi si sono abituati alla penombra e interpretano le forme che ne emergono. Così ognuno ha la proprio idea di libertà e la modifica in base alle occasioni. Ciò che piace a me, ciò che va bene a me. Il resto non conta. Con gli anni impari che la vera libertà non consiste nel…
Non so che farmene della poesia mia delle parole che si fermano in gola a sorprendermi mi trovavo muto a divagare tensioni, non detti, sogni… 44 altre parole
Il Teatro del Principe Altieri (1690-1697) nel Palazzo dei Valier Gonella a San Giobbe, nel Sestiere di Cannaregio Il grande Palazzo dei Gonella che nel 1542, quando era ancora in costruzione, ospitò il teatro provvisorio del Vasari, per la Compagnia dei Sempiterni, fu venduto nel 1575 ai Valier e ad essi rimase fino al 1756, […]
Questa pandemia è un “incidente” che non solo ha dato un’accelerazione pazzesca al crollo dell’economia globale, ma ha anche messo a nudo fragilità strutturali e inedite contraddizioni sistemiche del capitale ~ Giovanni Alves
Il neoliberalismo affida allo Stato il ruolo di guardiano, vigile ed attento, delle regole giuridiche, monetarie e comportamentali ~ Alessandro Visalli
Nessuno come Hayek ha fatto una critica così feroce alla pretesa della giustizia sociale, un concetto che per lui è privo di significato, che si verifica perché non rientra nel quadro concettuale che considera pertinente per affrontare i fatti economici ~ Bollettino Culturale
”-. Sur la terre fraîchement labourée, Monsieur Jean commença (soyons méthodiques) par l’installation du potager. Sur le coteau des Romarins, le Papet avait aménagé son observatoire qu’il pouvait gagner par un détour sous une forêt de genêts. Il venait s’installer là presque tous les jours vers quatre heures, et il se régalait des extravagances de […]
”-. Virginie saisit le livre qu’elle portait sous le bras. -. Ce Monsieur de Chateaubriand est venu ici il y a quelques années, et il a écrit ce livre dont on a fait grand cas en France-. Clarence prit l’ouvrage et lut le titre : Atala. -. Il s’agit des amours de deux sauvages, dit […]