da La débacle della morale nella foresta glitter di Raqib Shaw di Helmut Schilling da Diwali rivista contaminata che si ringrazia.
L’Oriente della New India incontra l’Occidente della Swinging London. Questo clash di culture, nelle mani di Raqib Shaw, dà vita a una foresta incantata e maledetta animata da animali grotteschi e simbolici in un habitat paradisiaco, uno Shangri-là funambolico, fatto di una flora opulenta e soffocante di ori e pietre preziose.
420338668_1280Shaw arriva a Londra nel 1998, frequenta la prestigiosa accademia Central St Martins School of Art, fucina di alcuni dei più grandi talenti degli ultimi decenni (Alexander Mc Queen, John Galliano, PJ Harvey, Laure Prouvost, per citarne alcuni). Porta con sé un bagaglio culturale e iconografico ricchissimo, il Kashmir, terra natia, con i suoi tessuti drappeggiati e i tappeti tessuti al telaio, il pantheon della religione hindu, le porcellane e le miniature persiane, gli Uchikake (kimono cerimoniali giapponesi), i Byobu (i paraventi), nonché i simboli dell’araldica e i tesori dell’arte orafa.
Appena diplomato, viene notato dai più influenti galleristi londinesi che vogliono rappresentarlo. La Victoria Miro Gallery gli offre la propria sponsorship. Lo espone all’edizione 2003 di Art Basel: il successo di critica è immediato. Di lì a poco arriva il riconoscimento su scala mondiale, nel 2006 è esposto al MoMA di New York e alla Tate Britain di Londra, nel 2008 entra al Metropolitan Museum di New York da artista affermato. Le sue opere realizzate fino ad oggi sono state per lo più acquisite da grandi musei.
Gli viene riconosciuta, oltre l’innegabile maestria tecnica, l’affiliazione a un’importante eredità pittorica che parte da Hieronymus Bosch e i pittori della scuola fiamminga del XV secolo. L’opera The Garden of Earthly Delights appare come un omaggio dichiarato al maestro Bosch e all’opera dal medesimo titolo. Tuttavia, a differenza del maestro, Shaw sembra celebrare la ricerca di un piacere senza limiti morali né tantomeno religiosi. Il suo è un mondo di perversioni e giochi erotici e cinici che rispecchia la débauche della nostra contemporaneità.
Anche i ritratti di Hans Holbein, pittore alla corte di Enrico VIII, hanno esercitato la loro influenza sulla pittura di Shaw. I dipinti The Ambassadors e Dance of Death alla National Gallery sembrano essere stati un forte motivo ispiratore per il giovane pittore indiano appena sbarcato nella capitale britannica. Non da ultimo il maestro italiano Giambattista Piranesi, con le sue rappresentazioni crude della decadenza del tardo impero romano, ha fatto parte dell’educazione artistica di Shaw.Raqib_Shaw._Jane,_2006
Shaw padroneggia una tecnica precisa ai limiti dell’ossessione. Lavora gli smalti e le vernici metalliche su grandi pannelli che arrivano alle dimensioni imponenti di 4 x 2 metri. Il disegno preparatorio viene lavorato con bordure d’oro che costituiscono la gabbia per il colore steso successivamente, un metodo non dissimile da quello delle grandi vetrate delle cattedrali. Il colore viene steso con dispensatori appositi e quindi sfumato e rimescolato con aculei di porcospino. Le opere si arricchiscono con l’apposizione di pietre preziose di vari colori e fogge (rubini, smeraldi, cristalli Swarovski). La realizzazione dell’opera richiede numerosi mesi di lavoro certosino e un’attenzione al dettaglio impressionante.
L’artista stesso illustra il proprio modus operandi in un interessante video disponibile su Vimeo al seguente link:
Il suo atelier, un ex mattatoio in un sobborgo poco raccomandabile di Londra, corrisponde alla sua personalità eclettica quanto schiva. Popolato da due cani Carlini e da sporadiche apparizioni umane, è un trionfo della flora, piante e fiori tropicali per i quali l’artista spende cifre folli, divani damascati, colori sgargianti alle pareti: Shaw vive l’universo onirico che traspone nelle sue opere.
Il suo mondo edonista e esplosivo, glitterato e opulento, riflette un’intensa forza sessuale primordiale, rivissuta da creature antropomorfe che sembrano soddisfare ogni impulso sullo scenario vibrante di un paesaggio fantastico e iper-realistico.
Il sogno si mescola con l’incubo, il bello con il grottesco, il piacere con il dolore. Non c’è redenzione, non c’è speranza nella totale assenza di Dio che sembra aver dimenticato questo Eden. Shaw, che rivendica la natura autobiografica delle sue composizioni, porta sulla tavola una critica feroce della New India, ben lontana dalle rappresentazioni edulcorate di fattura Bollywoodiana. L’incertezza della società multiculturale, il collasso della morale, la perdita di riferimenti univoci. Va in scena un melodramma psichedelico e violento senza possibilità di salvezza, come fosse sceneggiato da William S. Burroughs.
A-LADY-WITHA-SQUIRREL-AND-A-STARLING1L’opera di Shaw ci invita a riflettere sulla piega immorale di una società alla deriva, guidata dal profitto e dall’ostentazione della ricchezza. Come di fronte al flash di una fotocamera, i nostri occhi si chiudono istintivamente e tornano ad aprirsi subito dopo animati dalla curiosità di vedere il risultato della fotografia, in questo caso attraente e repulsiva al tempo stesso.
Shaw si sta facendo largo nell’impero occidentale dell’arte contemporanea (la sua arte è pressoché sconosciuta in India) e le gallerie Pace e White Cube di Londra, che lo rappresentano, gli dedicano importanti spazi espositivi nel quartiere borghese di Chelsea.
Come ogni grande artista del proprio tempo, Shaw divide la critica e il pubblico. Le critiche feroci non mancano, alcuni lo hanno tacciato di scarsità di originalità intellettuale compensata da una manualità compulsiva, altri hanno paragonato le sue opere ai motivi decorativi dei Casino-Palace di Las Vegas e più di un critico ha suggerito che il confine del glamour con il kitsch sia stato valicato a più riprese.
Di certo è facile perdersi in questa foresta al neon dove maligne creature barocche ci indicano quanto possa essere Osceno l’animale Uomo.