si ringrazia Simone Pecetta in ondacinema
Noir d’ambientazione francese, “L’uomo di Londra” ci riferisce d’un omicidio e di una valigetta di denaro che finisce nelle mani sbagliate di Maloin (Miroslav Krobot). È una storia che la penna di Simenon tramanda alla cinepresa di un Tarr che si permette di essere meno perfetto del solito, ma forse più coinvolto, forse più immerso nell’intreccio che racconta da rendere lacerante ogni immagine che coglie mentre con limpida maestria conduce lo spettatore al bianco profondo della fine. Le inquadrature si reggono in tempi sospesi, partono da lontano, accarezzano contorni per imbastire dapprima il contesto e poi focalizzare l’azione o la non-azione con i morbidi movimenti della cinepresa come nella magistrale sequenza iniziale quando la cinepresa insegue verticalmente il punto di vista di Maloin per poi pedinarlo orizzontalmente mentre lui osserva silenzioso i loschi movimenti che si compiono al di sotto della sua torretta portuale. La camera lo segue costantemente senza mai cedere alla tentazione di incarnarne la prospettiva, ma limitandosi ad empatizzare sinceramente per il suo punto di vista che viene rincorso incessantemente per quasi l’intera durata del film – l’ascesa iniziale della camera alla ricerca di Maloin, che è abituato ad osservare tutto dall’alto della sua postazione, non è altro che una premonizione di come verrà scaraventato per moto contrapposto nel baratro di una crisi morale. Tra la banchina del porto ed i binari della stazione ferroviaria il crocevia della morale perduta.
Le intricate coreografie disegnate dai movimenti della camera regalano uno spettacolo strabiliante lambendo l’epidermide di una vita misera, desolata che sta tutta sulla superficie di un’estetica che non riesce a squarciare il velo della ragione – molto più riflessivi “Le armonie di Werckmeister” e “Il cavallo di Torino” – ma tra le rughe dei volti (impossibile non menzionare le interpretazioni di Tilda Swinton e Agi Szirtes) e le pieghe degli abiti che ritrae riesce a scovare il seme del dolore e della vergogna, la sventura di un’esistenza anonima. Il malessere non esplode nelle parole che sono piuttosto segnali premonitori della vera tempesta che nasce e muore sulla superficie di un viso. “L’uomo di Londra” è un’ulteriore, impeccabile e rigorosa esplorazione della desolazione umana firmata dal maestro Bela Tarr.