di Gabriele Niola
Nei campi di prigionia cinesi degli anni ’50 si sono accumulati in breve tempo un numero incredibile di uomini considerati dissidenti. Scopriamo presto che è bastato poco al regime per considerarli tali e vediamo anche come le condizioni di vita del campo non rispettino nessuna regola nè abbiano alcuna pietà. I prigionieri lavorano, spaccano pietre e mangiano una brodaglia terribile solo a vedersi. Col passare dei giorni e delle privazioni il deserto ventoso e arido da ampio diventa quasi più claustrofobico dell’orrenda fossa in cui si dorme tutti accatastati l’uno accanto all’altro. Per disperazione si mangiano anche i topi o il vomito altrui o ancora ci si macchia di cannibalismo necrofilo. Le morti sono all’ordine del giorno tanto da perdere ogni umanità ed essere pronti anche a dormire accanto ad un cadavere. Almeno fino a che non arriva una donna, alla ricerca disperata del marito morto proprio pochi giorni prima del suo arrivo e seppellito in una fossa comune senza nome o modo di identificarlo. La sua ricerca furiosa condotta scavando con le mani e condita di urla e pianti straziati, sembra risvegliare nei prigionieri una scintilla di umanità perduta.
Salito alla ribalta mondiale del mondo del documentario grazie ad opere dalla durata esagerata ma fondamentali per i primi anni del nuovo millennio, ora Wang Bing realizza il suo primo lungometraggio di finzione nel quale, sorprendentemente, non sembra essere rimasto eccessivamente legato al documentarismo.
A fronte di uno stile rigoroso, di immagini molto fedeli alla realtà e di un modo di raccontare fatto di lunghi pianisequenza incaricati di mostrare la noia, le lungaggini e anche la prolungata esasperazione del dolore e dello schifo del campo di prigionia, il regista non trascura le componenti melodrammatiche. La seconda parte del film, quella dell’arrivo della moglie e della ricerca del cadavere, si prende infatti grandi libertà nello sforzo di raccontare e rendere sia il dolore che l’esasperazione, di fatto mettendo a frutto quell’atmosfera austera ed estremamente reale creata nella prima parte.
Con una macchina a mano per nulla neutra ma che anzi nel suo vagare svela le intenzioni del regista, La fossa riesce a rendere come mai si era visto prima il vero e autentico dolore fisico della punizione inflitta dal regime. Cosa significhi indebolirsi ogni giorno di più e procedere lentamente verso la propria inevitabile morte, mentre tutto intorno gli altri esseri umani, spegnendosi, ne annunciano la modalità.