Diario di un curato di campagna di Robert Bresson (1951)

a sinistra 12 minuti di preview – qui il film completo in francese con sottotitoli in inglese
Un giovane prete appena ordinato viene inviato come parroco ad Ambricourt, piccolo villaggio francese.
Il giovane prete vuole ispirare la sua azione pastorale allo spirito del Vangelo, e per questo entra continuamente in contrasto con i parrocchiani. Non gli resta che affidare pensieri e tormenti a un diario segreto, strumento di presa di coscienza della propria interiorità e di conseguente auto-liberazione.
Per questioni di ministero deve occuparsi della situazione esistente nella famiglia di un conte. Questi ha una relazione con la governante della sua figlia adolescente, Chantal. La contessa è nemica di tutti: il marito la trascura, vive solo del ricordo di un figlio morto piccolo, ha un atteggiamento di ribellione anche verso Dio.
Il giovane parroco le si avvicina, la aiuta a confessarsi, e la riporta alla fede; la notte seguente la contessa muore. Questo episodio rafforza l’ostilità della famiglia del conte e dei parrocchiani contro di lui.
Dopo poco tempo si scopre malato di cancro. Morirà poco dopo in casa di un ex compagno di seminario, prete spretato, tubercolotico, che ha abbandonato il sacerdozio per una donna. A lui chiederà l’assoluzione finale dei suoi peccati. L’amico accondiscende, anche se non nasconde il suo turbamento per il fatto che il parroco di Ambricourt è venuto a morire proprio nella sua casa di peccato. “Che cosa importa? Tutto è grazia”, replica il sacerdote morente che scopre, adesso, come l’itinerario della sua esistenza sia stato guidato dalla Grazia.
Il protagonista è alcolista per tara familiare, e non riesce a vedere altro che fallimento e assenza: “L’anima tace, Dio tace”. La frequentazione dell’anziano parroco di Torcy, suo amico e figura per lui paterna, è l’unico sostegno nel vuoto della sua sconfinata solitudine.
Le prime parole: La mia parrocchia è una parrocchia come tutte le altre. Si rassomigliano tutte. Le parrocchie d’oggi, naturalmente. Lo dicevo ieri al curato di Norenfontes: “Il bene e il male debbono equilibrarsi; sennonché, il centro di gravità è collocato in basso, molto in basso. O, se lo preferite, si sovrappongono l’uno all’altro senza mescolarsi, come due liquidi di diversa densità”. Il curato m’ha riso in faccia. È un buon prete, affabilissimo, molto paterno, che all’arcivescovado passa addirittura per un ingegno forte, un po’ pericoloso. I suoi motti di spirito formano la gioia dei presbiteri, ed egli li sottolinea con uno sguardo che vorrebbe essere vivacissimo…

È considerato il più significativo romanzo di Bernanos. Ottenne il più alto riconoscimento con il Grand-prix dell’Académie française.

Dal libro è stato tratto l’omonimo film, diretto nel 1951 da Robert Bresson. Claude Laydu ne è l’interprete principale.
Julien Green ne ha detto: “Un’opera tutta fatta di verità interiore ha potuto per la prima volta passare sullo schermo senza la più piccola concessione”.

In modo indiretto è legato al film di Bresson anche uno dei capolavori di Ingmar Bergman che si convinse a scrivere e a girare “Luci d’inverno” proprio dopo aver letto il libro di Georges Bernanos e aver visto e rivisto il film del grande regista francese.

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